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L'ultimo torero

di Christian Benna

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3 dicembre 2009

Il sole non sorge più come una volta sul traje de luz. Il vestito di oro e di luce del matador resta un sogno solo per un migliaio di ragazzi, gli iscritti — in calo costante — delle quarantadue scuole taurine del regno di Spagna.
Sembrano davvero lontani i tempi di Juan Belmonte García, il più grande torero di sempre, l'eroe delle polverose arene degli anni Venti che di notte con la lanterna in mano guadava il fiume Guadalquivir, scavalcava la staccionata del corral e svegliava un toro a caso per esercitarsi con lui fino all'alba. Storie che deliziavano Ernest Hemingway e ispiravano Federico García Lorca. Oggi per imparare i segreti del rito del torear serve molta meno fatica.
A Madrid basta scendere in metropolitana e risalire poi a Batán. In cento ettari di campo, per quattro euro al mese — una retta puramente simbolica — ragazzi da 12 ai 18 anni si impegnano nel toreo de salón, cercando di infilare la spada tra le corna di un toro meccanico. Poi lezioni di storia, di stile della corrida, di psicologia taurina. Tre ore al giorno dopo la scuola per tre o quattro volte alla settimana. Quando il polso comincia a muoversi fluido e diventano meno incerti i passi per ingannare il toro (verónica, lances, chicuelina, a puerta gayola), i ragazzi dai 14 anni in su si allenano anche due volte al mese in campagna, con i tori veri. È il tentadero, la prima prova nella quale l'aspirante matador, armato di drappi rossi, capote e muleta, dà prova delle proprie qualità e del proprio coraggio.
Le escuelas taurinas nascono negli anni Ottanta per offrire una formazione di base ai futuri toreri. Felipe Díaz Murillo, 65 anni, è sin dagli esordi il direttore della scuola di Madrid. «Quest'anno ci saranno settanta allievi a seguire i nostri corsi. Ma erano duecento fino a qualche tempo fa. Colpita com'è dalla crisi economica, la Spagna attraversa un momento difficile e gli stanziamenti pubblici, naturalmente, diminuiscono. La televisione preferisce mandare in onda le stelle del calcio. Le novilladas, gli spettacoli dei debuttanti nell'arena, sono quasi scomparse dall'etere, resistono giusto in qualche emittente locale al Sud».
Díaz Murillo deve far quadrare i conti con un budget annuale di 160mila euro: metà dei quattrini finisce negli stipendi degli insegnanti, spesso ex toreri in pensione, mentre il resto va in attrezzatura e nell'acquisto di vacas e toros da allenamento. «La maggior parte dei ragazzi — racconta il direttore — non nutre grandi ambizioni. Frequentano i corsi come alternativa a un altro sport. Ma ci sono quelli di grande talento e con le idee ben chiare». In venticinque anni di vita la Escuela de Madrid ha sfornato 120 matadores, metà rispetto ai banderilleros e ai picadores diplomati. Il torero è ancora un mestiere da mille e una notte, ma solo per pochi eletti.
Chi indossa il traje de luz guadagna almeno 35mila euro a spettacolo. Ma il mercato è sempre più chiuso, dominato da quattro o cinque grandi impresari, e da una decina di matadores su circa duecento in attività. Il resto si mette in coda, in attesa del proprio turno, tra lavoretti saltuari e un abito da torero part-time. I novillos, una volta "laureati", devono pagare di tasca propria la cuadrilla: gli assistenti del matador, due banderilleros e due picadores. Nell'agenda dei conti del torero in erba c'è anche l'animale da combattimento. Un toro bravo costa una fortuna: si va da 18mila a 100mila euro. Davvero troppo per un Paese precipitato in una crisi economica che non sembra voler destinare risorse importanti alla corrida, un business capace comunque di muovere ogni anno più di due miliardi di euro di fatturato. Un terzo del giro d'affari è ancora garantito da finanziamenti pubblici, che però ora languono mettendo a rischio 70mila posti di lavoro fissi. A Merida, in Extremadura, il progetto di istituire una scuola locale è saltato con le prime avvisaglie di credit crunch. Invece a Malaga alcune controversie sui finanziamenti hanno costretto l'istituto a chiudere i battenti per diversi mesi. In Catalogna il popolo degli animalisti, dopo aver affossato l'Escuela de Barcelona, è riuscito a rimettere all'ordine del giorno il bando della corrida. E pure il premier Zapatero rimane tiepido nei confronti dell'antica tradizione.
Stando all'ultima rilevazione Gallop, solo l'8 per cento degli spagnoli si professa fan dello spettacolo dei tori, contro il 45 per cento nel 1985. E con il Pil che perde quota, molte città tagliano il cartellone. Per il 2009 los pueblos, che di norma organizzano anche quattro fiestas all'anno, hanno dimezzato gli eventi taurini. E il prossimo anno, su 35mila tori mediamente richiesti da plazas, fattorie ed escuelas, solo 25mila arriveranno nelle arene. Per chi rimane a lungo in attesa il destino è il mattatoio, con una resa per allevatore inferiore ai 300 euro. Per l'Unione degli allevatori, almeno metà delle aziende chiuderà l'anno in rosso.
Eppure in Spagna c'è anche un cuore taurino che non si arrende. L'Andalusia, che ospita metà delle escuelas, ha aumentato i finanziamenti superando i 500mila euro annui. Uno sforzo che potrebbe non bastare. La modernizzazione, necessaria secondo i sempre più numerosi riformisti, stenta a decollare. L'ha provato sulla sua pelle Eva Bianchini in arte Florencia, l'italiana che, lasciata Firenze, nel 2001 (a 23 anni) esordì nell'arena di Siviglia per lasciare la carriera già nel 2006. «Diventare matador costa una fortuna. Senza contare che il mondo della corrida è molto chiuso e conservatore». Eva oggi fa la pittrice, a Huelva, sempre in Spagna. Del resto, come ha già detto Eduardo Dávila Miura,
  CONTINUA ...»

3 dicembre 2009
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